Speciale 1° Novembre: come avviene la proclamazione di un santo?

Di Paola Vanni e Jvan Aulino

Tutti i battezzati sono santi. Lo sono in senso letterale, cioè santificati, e lo sono proprio per il fatto di aver ricevuto il battesimo, sacramento che li fa diventare figli di Dio e membri della Chiesa. Non per niente san Paolo, quando scrive agli efesini, si rivolge loro come “ai santi che sono in Efeso”, e la Chiesa ancora oggi è definita anche la “Comunione dei santi”, ovvero la comunità che riunisce tutti i battezzati, vivi e defunti. È la cosiddetta “chiamata universale alla Santità”.

Tuttavia la canonizzazione è la dichiarazione ufficiale della santità di una persona defunta da parte della Chiesa. Emettendo questa dichiarazione, la Chiesa afferma che quella persona si trova con certezza in Paradiso, può essere assunta come esempio di vita evangelica e può essere oggetto di culto e preghiere per ottenere per sua intercessione grazie da Dio. Il culto è limitato per la persona dichiarata beata, mentre è universale per il santo.

La Canonizzazione è una consuetudine in uso presso la Chiesa cattolica, incluse le Chiese di rito orientale e la Chiesa ortodossa.

Nella Chiesa cattolica, la canonizzazione avviene al termine di un’apposita procedura, che dura in genere molti anni, chiamata processo di canonizzazione (o processo canonico). Tra le altre cose è richiesto che vengano riconosciuti dei miracoli attribuiti all’intercessione della persona oggetto del processo. La decisione finale sull’opportunità di procedere alla canonizzazione è in ogni caso riservata al Papa.

Evoluzione storica

Se la venerazione, più o meno marcata, di defunti particolarmente incisivi nella storia del Cristianesimo sorse molto presto, è solo nel secondo millennio di vita della Chiesa che nasce un vero e proprio processo di canonizzazione. Tuttavia, date le enormi differenze storiche che contraddistinguono la millenaria storia della Chiesa, si suole distinguere sei grandi periodi per quel che riguarda l’evoluzione del processo di canonizzazione, cinque storici più l’attuale.

I-V secolo

Nei primi cinque secoli di vita delle comunità cristiane, non si parla propriamente di santi, ma più di martiri: la venerazione dei defunti si focalizza soprattutto su quelle persone che, pur di non rinnegare il Signore e il suo messaggio rivelatore, preferirono immolare la propria vita come testimonianza di fede:il martirio era un fatto di dominio pubblico, confermato dalle autorità romane competenti che poi eseguivano la pena capitale. Nascono in questo periodo i martirologi.

Un cambio radicale si ha nel periodo della fine delle persecuzioni. Questa situazione socio-politica porta ad aggiungere al culto dei martiri, quello dei confessori, ovvero fedeli che avevano subito gravi violenze durante il periodo delle persecuzioni ma erano riuscite a sfuggire la morte, oppure persone che si erano conformate a Cristo per la propria vita terrena, con penitenze fuori dal normale, vita ascetica e scelte di vita simili.

Sia i martiri che i confessori vengono venerati con moto spontaneo collettivo, senza iniziative o approvazioni di natura ecclesiastica.

VI-XI secolo

È col progressivo crollo dell’Impero romano d’Occidente ed i sempre più frequenti contatti con le varie popolazioni barbariche che si avvia un cambiamento di rilievo, sempre più accentuato con l’inizio del Medio Evo: vede la luce una forma embrionale di processo di canonizzazione, operato dai vescovi che autorizzano la venerazione dopo una sommaria inchiesta e la redazione della Vita del santo, ovvero una sorta di biografia agiografica contenente i suoi miracoli. Si parla in questo periodo di “canonizzazione vescovile: la canonizzazione vescovile risponde allo stimolo della vox populi.

La figura del santo comincia a delinearsi in maniera più indipendente e a differenziarsi da quella dei martiri e dei confessori dei primi secoli, visto dal credo popolare più come un intercessore di grazie divine che non un modello a cui aspirare: diventa sempre più forte il legame fra la figura del santo ed il miracolo.

XII-XVI secolo

Fu papa Alessandro III, nel XII secolo, che rivendicò a sé il potere di riconoscere una persona come santo al fine di mantenere una uniformità di culto in tutta la Cristianità, inserendo definitivamente i processi di canonizzazione nelle causae maiores Ecclesiae.

Tale norma fu poi confermata da Gregorio IX nel 1234, ed inserita successivamente nel Corpus Iuris Canonici.

Nel XIV secolo, il Papa cominciò ad autorizzare il culto di alcuni santi solo in ambito locale prima che fosse completato il processo di canonizzazione. Tale pratica è all’origine della procedura di beatificazione, in cui una persona è detta beata ed è possibile il suo culto solo in ambiti ristretti (singole diocesi o famiglie religiose).

XVII-XIX secolo

Numerosi cambiamenti ci furono con gli interventi di Sisto V che creò la Congregazione dei riti e di Urbano VIII nella sua Coelestis Hierusalem Cives, che arricchì ed articolò la procedura. Nasce la distinzione netta tra beatificazione e canonizzazione, e la riserva papale viene ulteriormente rafforzata a garanzia con una norma di chiusura, con conseguente divieto di venerazione di defunti che non siano stati riconosciuti come santi.

XX secolo

Tutta la normativa, frutto di elaborazioni millenarie, rimase in vigore fino alla codificazione del 1917, la quale fu inserita e rielaborata.

L’eccessivo positivismo della prima codificazione, che aveva portato all’esclusione delle indagini sinodali e vescovili e allungato e complicato in maniera esponenziale le procedure, indusse Paolo VI a riformare la canonizzazione, separando una sezione apposita dalla Congregazione dei riti e semplificando il processo in due fasi, una istruttoria a livello locale, ed una dibattimentale riservata all’ambiente romano, con una riconsiderazione in positivo del ruolo del Vescovo e delle decisioni sinodali. Un’ulteriore riforma di Giovanni Paolo II inclina il processo di canonizzazione a favore della teologia de-positivizzandolo consistentemente.

Il procedimento di canonizzazione della Chiesa cattolica oggi

Il riconoscimento di un nuovo santo è fonte di grande gioia in quanto considerato manifestazione speciale dell’operato di Dio: un nuovo santo è un dono che Dio fa alla comunità. Il processo che porta la Chiesa a dichiarare un uomo o donna santo richiede grande attenzione e responsabilità, perché la decisione che ne deriva influenza molte persone: il santo o la santa verrà infatti proposto alla venerazione di tutti i fedeli in tutto il mondo e indicato come esempio da seguire.

Il processo di canonizzazione ha una durata variabile di parecchi anni, ma può arrivare a secoli. Segue due procedure, a seconda che il defunto da canonizzare sia morto di morte naturale o sia stato ucciso come martire. Per il Martire la procedura è in qualche modo semplificata, perché tenderà ad accertare soprattutto se si sia trattato di vero martirio, ossia di morte inflitta in esplicito odio alla Fede e alla Chiesa, e dal martire liberamente e serenamente accettata e sopportata in testimonianza di fedeltà e di amore alla fede e alla Chiesa.

Invece, se la persona per la quale si chiede il processo di canonizzazione è morta di morte naturale:

il processo di canonizzazione ha origine dalle persone che hanno vissuto con il potenziale santo o santa, che ne conoscono l’operato e lo stile di vita: la comunità della parrocchia, la congregazione religiosa, la comunità in cui ha lavorato, eccetera.

questi, detti Attori, incaricano una persona che ritengono adeguata a presentare richiesta al vescovo di riferimento perché apra l’Inchiesta Diocesana su una possibile beatificazione. Chi presenta la domanda viene detto Postulatore della Causa. Se la Santa Sede lo ritiene affidabile, diviene la persona di riferimento per la Congregazione per le cause dei santi, cioè l’organismo della Santa sede che si occupa dei processi di beatificazione. L’inchiesta non può iniziare se non sono trascorsi almeno 5 anni dalla morte della persona, a meno che il Papa in persona non voglia autorizzare una eccezione. Questo criterio di cautela tende a evitare di farsi trasportare da entusiasmi temporanei e intende aiutare a valutare con criterio i fatti;

La Congregazione per le Cause dei Santi valuta la richiesta del vescovo e risponde con un Nulla Osta (niente si oppone), autorizzandolo a procedere. Da questo punto in poi il potenziale santo o santa viene detto “Servo (o serva) di Dio”; si procede con la Positio: un dossier dove si esprime con criterio la “dimostrazione ragionata” (Informatio) delle presunte virtù eroiche, usando le Testimonianze e Documenti raccolti nell’Inchiesta Diocesana.

Nel 1587 venne istituita una figura, contrapposta al relatore, di Pubblico Ministero (chiamato popolarmente l’ Avvocato del Diavolo) che in questa fase cerca soprattutto con grandissimo scrupolo le prove contro la santità del candidato: errori nella dottrina della Fede, disobbedienze alla Chiesa, comportamenti palesemente o occultamente peccaminosi o viziosi; questa figura è stata poi soppressa nel 1983 da parte di papa Giovanni Paolo II per snellire il processo di canonizzazione. Questo non vuol dire che tutti i santi siano stati perfetti dalla nascita: al contrario, ci sono santi che in una prima fase della loro vita possono essere stati grandi peccatori o addirittura infedeli o nemici della Fede (esempio: Saulo / San Paolo); ma allora si andrà a vedere se a questa prima fase (eventualmente anche lunga) ha fatto seguito una completa, radicale, definitiva conversione.

La tendenza a riconoscere ufficialmente la santità anche nei laici è aumentata dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965), ma soprattutto ha ricevuto un grande impulso nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II, il papa che nella storia della Chiesa ha battuto ogni record, proclamando 1.338 beati e 482 santi, alla media di quasi cinquanta beati e diciotto santi all’anno.

Giovanni Paolo II fece 1.338 beati e 482 santi, molti dei quali laici. Il suo scopo? Renderli più vicini ai “comuni” fedeli..Spesso i santi proclamati tali dalla Chiesa hanno attraversato fasi di buio interiore (è il caso, per esempio, della Beata Madre Teresa di Calcutta). Il beato e il santo, insomma, non sono supereroi, ma cristiani che, pur in presenza di eventuali crisi e difficoltà, hanno perseverato nella ricerca di un rapporto stretto con Dio.

PERCHÉ L’HA FATTO? Wojtyla era convinto che occorreva riportare la santità vicino ai credenti e ribadire il concetto che tutti sono santi e che proprio per questo, con le opere, possono diventare santi canonizzati. Del resto, la proliferazione è stata possibile grazie all’estrema semplificazione, voluta proprio da Giovanni Paolo II nel 1983, del processo di beatificazione e canonizzazione.

Di seguito si organizza una commissione di 9 teologi, detta Congresso dei Teologi, per l’esame della Positio del postulatore e delle Animadversiones dell’avvocato del diavolo. Come in tutti i processi, anche in questo caso ci sono un’accusa e una difesa. L’avvocato difensore, se vogliamo usare questo termine, è il cosiddetto postulatore (colui che chiede qualcosa con insistenza), incaricato di dimostrare la santità del candidato. La “pubblica accusa”, incaricata di fare le pulci a testimonianze e documenti, è invece rappresentata dal promotore di giustizia (un tempo conosciuto come “l’avvocato del diavolo”).Se questi danno parere favorevole si ha una riunione di Cardinali e Vescovi della Congregazione dei Santi, terminata la quale il Papa autorizza la lettura del Decreto ufficiale sull’ eroicità delle virtù del Servo di Dio. Il grado eroico delle virtù è dato essenzialmente dalla continuità e dall’intensità con cui le virtù stesse sono state vissute. Occorre cioè dimostrare che il candidato le ha praticate a un livello molto elevato, fuori dal comune. Il che, si badi bene, non vuol dire che la persona in questione non abbia mai avuto dubbi o momenti difficili per quanto riguarda la vita di fede.

Spesso, al contrario, i santi proclamati tali dalla Chiesa hanno attraversato fasi di buio interiore (è il caso, per esempio, della Beata Madre Teresa di Calcutta). Il beato e il santo, insomma, non sono supereroi, ma cristiani che, pur in presenza di eventuali crisi e difficoltà, hanno perseverato nella ricerca di un rapporto stretto con Dio.

Questi d’ora in poi viene chiamato “venerabile”: succede quando al candidato viene riconosciuto di aver vissuto le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) in modo eroico (si usa proprio questa espressione), o quando si riconosce che il candidato ha perso la vita da martire a difesa della fede. Questo chiude la prima fase del processo di canonizzazione.

La fase successiva è la Dichiarazione di beatificazione, per arrivare alla quale deve essere riconosciuto un miracolo attribuito all’intercessione del venerabile. Qualcuno deve aver pregato la persona e questa deve aver “risposto” venendo in soccorso con un evento inspiegabile e “prodigioso”: questo viene ritenuto dalla Chiesa segno inequivocabile che la persona è in Paradiso e di là può e vuole soccorrere i vivi. La cautela in questa fase è ancora maggiore. Perché un miracolo venga preso in considerazione dalla Congregazione dei Santi occorre una Inchiesta Diocesana, approfondita con lo stesso iter indicato sopra, che andrà consegnata alla Congregazione dei Santi.

La Positio sul miracolo viene quindi esaminata da 5 medici: se questi dichiarano di non sapere dare spiegazione razionale e scientifica dell’avvenimento, si configura la possibilità di ritenerla miracolo. L’avvenuto viene valutato da 7 teologi, quindi da vescovi e cardinali. Il riconoscimento ufficiale è sancito dalla promulgazione del “Decreto sul miracolo” (Decretum super miraculo) da parte della Congregazione dei santi.

Terminate queste riunioni il Papa proclama il venerabile beato o beata in una Messa solenne, quindi stabilisce una data della memoria nel calendario liturgico locale o della famiglia religiosa cui la persona apparteneva.

Se viene riconosciuto un altro miracolo, a seguito di una valutazione che ha lo stesso iter e la stessa severità del primo, il beato viene dichiarato santo e il suo culto viene autorizzato ovunque vi sia una comunità di credenti.

L’ULTIMA PAROLA AL PAPA. Rispetto a quanto previsto dal diritto canonico, comunque, il papa può decidere che siano prese alcune “scorciatoie”. Papa Francesco lo ha fatto nei confronti di Giovanni XXIII, che diventa santo per la sua fama di santità, diffusa da decenni in tutto il mondo, senza che gli sia stato riconosciuto un secondo miracolo. E una procedura straordinaria è stata seguita anche da Benedetto XVI nei confronti di Giovanni Paolo II, la cui causa di beatificazione si aprì poche settimane dopo la morte, senza aspettare i cinque anni previsti dal codice.

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