Di Padre Gian Marco Mattei
Giacobbe si trova in questa tenebra che è la notte oscura dell’anima, sgomenta della propria povertà, della propria debolezza, del proprio peccato; una tenebra che è, dunque, una crisi che si può e si deve superare solo con la grazia della preghiera, affidandoci unicamente e totalmente di Dio, a cui nulla è impossibile, finché ”sorga l’aurora” e riceviamo il nostro vero “nome”, la nostra libertà, la gioia e la pace : è la notte della fede di cui parla S. Giovanni della Croce. Questa notte che ci aspetta tutti, perché è un passaggio inevitabile, è un passaggio pasquale che anticipa il mistero pasquale di Gesù, il passaggio da morte a vita! E’ la notte dell’agonia nel Getzemani in cui Gesù, pur nella radicale solitudine umana e nell’apparente abbandono del Padre, si è affidato a Lui e la luce dell’aurora è stata la sua folgorante risurrezione e la nostra salvezza. Guidati e sorretti dalla potenza dello Spirito Santo, quei momenti di solitudine, di radicale debolezza, di povertà umana, di disperazione (pensiamo alle nostre colpe, ad un lutto doloroso, ad una malattia, ad un abbandono affettivo, ad un rovescio finanziario, ad una crisi interiore ecc.), quei momenti che sembrano eterni, possono cambiarsi in una risurrezione, in una vita nuova e darci un nome nuovo, una nuova personalità, un cambiamento di vita, una “conversione”: “È spuntata l’aurora!” Le condizioni per questa illuminazione, per questa rinascita sono la preghiera e l’abbandono filiale alla fedeltà di Dio. Questo è il pensiero dei santi Padri.
La preghiera autentica, filiale, esige il silenzio interiore, l’umiltà che è abbandono delle nostre sicurezze, per affidarci alla potenza dell’amore di Dio. Giustamente l’apostolo Paolo afferma: “Quando sono debole (e lo riconosco, chiedendo aiuto a Dio), allora sono forte” (2Cor.12,10b). Ritorniamo a Giacobbe. Nel misterioso personaggio che al guado dello Jabok lotta con lui, senza rivelare il suo nome, Giacobbe riconosce l’angelo del Signore e lo costringe con la preghiera e l’obbedienza, a benedirlo.
Questa benedizione è la conferma di quella benedizione patriarcale che aveva già ricevuto dai suoi padri e dal Signore stesso all’inizio del suo viaggio. La lunga lotta era dovuta alla sua resistenza a Dio, in cui pure credeva; una dura lotta perché Giacobbe non rinunciava a condurre la sua esistenza a modo suo, non voleva fare la volontà di Dio che gli diceva: fidati di me, rinuncia all’idea della violenza, sii umile, io ti salverò! Giacobbe voleva far di testa sua e desiderava che il Signore ponesse la sua potenza divina al servizio dei suoi progetti umani. Ma quando rinunciò a se stesso per affidarsi totalmente alla bontà del Signore, venne trasformato dalla grazia: era sorta l’aurora!
Da questo momento conosciamo un altro Giacobbe ; non è più il noto calcolatore: il nome nuovo che il misterioso personaggio gli dona è simbolo della sua conversione e della missione affidatagli. “Non ti lascerò finché tu non mi abbia benedetto”, è forse l’ultima espressione del vecchio carattere, ma detta con spirito nuovo. Così Giacobbe ha imparato progressivamente a vivere di fede; i venti anni trascorsi lontano dalla “Terra promessa” lo hanno purificato. Ingannatore, era stato ingannato: l’espiazione lo ha lentamente trasformato.
“Hai combattuto con Dio e con gli uomini ed hai vinto”: questa espressione riassume la sua vita : ha vinto la lunga lotta con Labano, ma quella più difficile con se stesso. Il combattimento tra l’uomo e Dio è insieme lotta ed amplesso. Giacobbe voleva conoscere Dio: “Dimmi il tuo nome”, per appropriarselo in qualche modo. Nel senso biblico manifestare il proprio nome significa confessare la propria identità e consentire ad altri di entrare nella propria vita. Ora, abbandonato alla fedeltà divina, concluderà felicemente i suoi contrasti con il fratello, umiliandosi davanti a lui, cosicché Esaù, che gli era venuto incontro con quattrocento armati, dopo avergli chiesto : “Cos’è tutta questa gente?”, Giacobbe rispose : “Sono i figli che Dio mi ha dato” (Gn.33,3) ed Esaù, commosso, gli buttò le braccia al collo e pianse!
Giacobbe ha vinto anche una lotta con Dio : o meglio, in lui si manifesta che Dio ha vinto perché ha portato a termine il lungo cammino che Dio si aspettava. Gli ostacoli incontrati erano prove permesse dal Signore per affinare il suo spirito: peccatore è giunto ad ottenere misericordia, usurpatore dei diritti del primogenito, è riuscito ad ottenere da Dio la missione patriarcale. In questa lotta misteriosa, mentre Giacobbe sta vincendo, un tocco dell’avversario (non del nemico!) gli causa una slogatura che gli resta come “segno”, facendolo zoppicare: è l’indice della superiorità del personaggio il quale gli fa capire che è stato vinto, perché ha voluto lasciarsi vincere : “Solo la preghiera vince Dio!” (Tertulliano, de Oratione).
Secondo il libro della Sapienza (10,12), “Dio gli ha concesso vittoria perché imparasse che la preghiera fiduciosa è più potente di ogni altra cosa”. Dunque ha vinto il Signore perché si è affidato a Lui, abbandonando ogni calcolo umano. Zoppo, ossia umanamente fragile, ma benedetto! Tutta la storia della salvezza è sempre una lotta dell’uomo peccatore alle prese col male e con Dio “tre volte santo”, in cui l’uomo conquista la misericordia, il perdono, mediante la fede, nutrita dalla preghiera filiale e dalla obbedienza.
Anche noi siamo continuamente di fronte ad una scelta, ad un discernimento: o con Dio o con il mondo (inteso nella sua vanità). Il primo salmo ci indica le due vie: la via del bene (stretta, faticosa) che porta alla vita, e quella del male (facile, spaziosa) che porta alla perdizione. Anche il deuteronomio parla delle due vie con maggiore forza: “Ecco, io pongo davanti a te la vita e la morta, la benedizione e la maledizione : scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, perché è lui la tua vita e la tua longevità” (Dt.30,19). Questa scelta del bene, a volte, è una dura lotta. S. Paolo nella lettera ai romani parla con un “io universale”: “vedo il bene e faccio il male; chi mi separerà da questo corpo votato alla morte?… Ma siano rese grazie a Dio per mezzo di Cristo!” (Rm.7,14-25); nel capitolo seguente, vertice del della lettera, afferma che non siamo più schiavi, ma “figli nel Figlio“, “figli per lo Spirito santo”. Anche riguardo alla preghiera continua, l’apostolo parla di lotta: “Sapete quale dura lotta io sostengo per voi e per quelli di Laodicea” (Col.2,11), e ancora : “Epafra non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere” (Col.4,12).
Gesù ci avverte : “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà ; ma chi la perderà a causa mia e del Vangelo la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero e perdere la propria vita? (Mc.8,34). Che cosa vuol dire: “rinnegare se stesso, prendere la propria croce? È un invito a cedere a lui il governo della nostra vita; rinunciare alla nostra volontà “orgogliosa ed egoista”, sostituendola con la sua che ci chiama all’umiltà, alla verità, alla giustizia e, soprattutto all’amore, cioè al dono di sé, al servizio dei fratelli. È molto più facile consegnargli i nostri averi; ma per riuscire a mettere Gesù al primo posto è necessario consegnargli tutto noi stessi. Qui c’è in gioco la riuscita o il fallimento della vita. Senza questa radicalità, rischiamo di vanificare ogni sforzo, e perdere per sempre quell’unica vita che ci è stata donata perché sia spesa nell’amore. Quindi bisogna continuare a combattere gli strascichi dell’uomo vecchio, colpito a morte nel S. Battesimo. In questa lotta possiamo essere “più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amato” (Rm.8,47), cioè con la grazia dello Spirito santo, effuso da Gesù dalla croce: “E reclinato il capo, effuse lo Spirito”: l’ultimo respiro di Cristo è il primo respiro della Chiesa (P. Cantalamessa). Invochiamo, pregando con fede, la potenza dello Spirito di Dio che ci rende capaci di fare quello che, umanamente parlando, non saremmo capaci di fare. Amen! lode e gloria al Signore Gesù !
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